SELVAGGIO BLU: IL RACCONTO DEL TREKKING IN SARDEGNA

Luca e Benny, fotografo lui, insegnante di yoga lei, uniti dalla passione per lo sport, la natura e l’avventura. Come detto in un precedente articolo, li abbiamo seguiti da lontano, lungo i sentieri aspri e rocciosi dell’Ogliastra, in Sardegna, per il loro trekking Selvaggio Blu. E adesso ci raccontano la loro avventura.

Un inizio inaspettato

Mezzanotte a Pedra Longa, una luce puntata sui nostri occhi ed una voce che esclama: “non potete stare qui, devo farvi un verbale!”

Inizia così il nostro trekking Selvaggio Blu in Sardegna: con una multa scampata e con una brusca sveglia nel cuore della notte, presagio di un cammino ricco di ostacoli, ma anche opportunità di ammirare un cielo stellato senza eguali.

H6:00 la sveglia ogni mattina. Divisione dei compiti: Luca è l’addetto alla colazione, mentre Benny piega e comprime materassini e sacchi a pelo.
Ore 6.15 finalmente si mangia! un rito indispensabile per fare il pieno di energie e, così, subito si parte.

I corpi, ancora intorpiditi dal sonno e con le ossa infreddolite dalla notte, faticano a mettersi in moto … ma chi avrebbe mai pensato di trovare freddo e addirittura ghiaccio nella calda terra della Sardegna?

Ore 7:00 Nonostante gli occhi ancora assonnati, è necessario tenere un buon livello di concentrazione fin da subito. Infatti ogni bivio nasconde delle insidie ed il navigatore GPS di ultima generazione viene beffato continuamente dal sentiero selvaggio, che si avvale di grandi scogliere e canyon per disturbare il segnale, rendendo impossibile qualsiasi aiuto tecnologico. Inoltre la segnaletica è del tutto assente là dove sarebbe, invece, necessaria, quasi si prendesse gioco di noi. Non rimane che fidarsi del nostro intuito, scovando bolli blu (anche dove assenti) e, nel caso peggiore, procedendo per cauti tentativi, con Luca in avanscoperta.

La forza della compagnia

Bisogna ammettere che questo scenario disorientante ci ha creato qualche difficoltà: sia fisica, per le ore in più di fatica a ricercare il giusto percorso, sia psicologica. La demotivazione era sempre dietro l’angolo e la sensazione di non riuscire a risolvere il complesso puzzle talvolta prendeva il sopravvento.

La fortuna è stata quella di essere in fantastica compagnia: i momenti di sconforto di Luca sono diventati quelli in cui Benny prendeva il comando e si caricava la squadra sulle spalle, viceversa, se era Benny a scoraggiarsi, Luca aveva una parola di conforto o semplicemente una battuta pronta per farla sorridere.

Questo è assolutamente uno dei pilastri di un’esperienza di questo tipo, essere in buona, o meglio ottima, compagnia per affrontare insieme i mille momenti di difficoltà. Gli altri punti fondamentali sono poi avere un’ eccellente preparazione fisica e tecnica, di livello alpinistico, ed avere un corretto equipaggiamento, leggero ma completo (necessario imbrago, casco, 2 corde da 50m ed il materiale per arrampicare e per calate in corda doppia).

L’importanza dell’equipaggiamento

C’erano 8 calate ad attenderci nel corso del trekking Selvaggio Blu , di cui la prima particolarmente ostica, sia perché avevamo bisogno di rompere il ghiaccio, sia perché era particolarmente esposta e prossima al mare. Se per Luca queste manovre sono un’abitudine, Benny non aveva tutta questa esperienza, quindi dal primo timido sguardo nel vuoto, durante la prima calata, è passata a quello meravigliato che voleva godersi ogni metro delle altre discese.

L’equipaggiamento è fondamentale anche per affrontare al meglio le fredde nottate del Supramonte Sardo, spesso spazzato da forte vento, che abbiamo sentito per lunghe ore scuotere la nostra tenda. Sacco a pelo e guscio antivento diventano, quindi, elementi indispensabili, che non possono mancare nello zaino, così come tutto il necessario per ripararsi in caso di pioggia.

Nei momenti di intemperie o clima avverso, oltre al nostro materiale, ci sono venuti in aiuto i Cuili, luoghi magici, dove le tradizioni nel popolo sardo sono conservate con rispetto e orgoglio dagli abitanti della zona.

Si tratta delle antiche dimore dei pastori del Supramonte, delle caratteristiche capanne in legno di ginepro, dove questi ultimi passavano gran parte dell’anno ad accudire i propri animali. Ora sembrano quasi delle opere d’arte, anche se di pastori ormai non c’è nemmeno l’ombra. Quello che invece non manca sono i simpatici animali custodi della zona, che son stati anche gli unici esseri viventi incontrati per 5 giorni: dai timidi maialini neri, alle chiassose e numerosissime capre, alle piccole mucche, che nulla hanno a che vedere con le enormi sorelle alpine.

La magia della sera

Così tra un sentiero poco evidente ed una pietraia infernale, tra un panorama mozzafiato e lo spinoso sottobosco sardo, la nostra tappa volge ogni giorno al termine.

Ore 17:30: l’ora del tanto agognato rifornimento, che per noi significa tante cose: innanzitutto che ce l’abbiamo fatta (almeno per quel giorno) poi significa cibo, acqua da bere e addirittura per lavarsi, infine il materiale tecnico necessario per la tappa successiva. Il rituale della cena, seduti davanti al fuoco era magico, un modo per salutare la giornata e concedersi al sonno più profondo per recuperare quante più energie possibili.

Ore 19:30: Il tipico orario della nostra buonanotte, un bel modo per seguire il ritmo del sole e tornare ad una vita più a contatto con la natura.

Considerazioni a caldo? Un’esperienza da fare almeno una volta nella vita!
E per noi… arrivederci Sardegna